ENRIQUE VILA-MATAS LA VIDA DE LOS OTROS 
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El caballo de Turin, film de Béla Tarr (2011)
El caballo de Turin,
film de Béla Tarr (2011)




PER ANNI FRANZ KAFKA

ANDREA BAJANI


Per anni Franz Kafka ha scritto lettere a Felice Bauer. Le scriveva la sera tardi, quando tutto era spento, e lui si poteva raccogliere dentro il silenzio. Il giovane Kafka restava in una solitudine ultima, da cui poi venivano fuori soltanto le parole, come topolini da sotto una coperta. Scrivere a Felice da un lato certificava la sua solitudine, e dall’altro però serviva a bucarla, come se le chiedesse, leggendo la sua lettera, di farlo esistere, pur lasciandolo lì. Il 14 gennaio del 1913 le scrisse: “Ho fatto di nuovo tardi, mia cara, è l’una di notte. Una volta mi hai scritto che vorresti starmi vicino mentre scrivo, pensa però che non potrei scriverti. Quando si scrive non si può mai essere abbastanza soli, quando si scrive non si può mai avere abbastanza silenzio intorno, la notte è ancora troppo poco notte”. Poi poco sotto aggiunse: “Ho già pensato più volte che il mio migliore tenore di vita sarebbe quello di stare con l’occorrente per scrivere e una lampada nel locale più interno d’una cantina vasta e chiusa. Chissà quali cose scriverei! Da quali profondità le farei sorgere!”. Poi quando aveva finito di scrivere anche le lettere a Felice Bauer provava a dormire, per quel che riusciva, e la mattina dopo si sfilava da quel silenzio come un topolino da sotto la coperta, e si metteva i vestiti di una vita normale, fino alla sera. Durante la vita, di quella solitudine notturna lasciò poche tracce scritte. Le altre le raccolsero dopo la sua morte, come se Kafka fosse una civiltà scomparsa e poi trovata per caso durante gli scavi. Pubblicò pochi racconti, e tra questi c’erano quattro storie di solitudine e di verità. Tra queste c’è un trapezista che decide di non voler più scendere dal trapezio, e un digiunatore che non lo fa per dieta ma perché si considera un artista del digiuno, una cantante che in qualsiasi angolo, quando le va, da sola comincia a cantare. Ecco, raccontare delle storie, dopo Kafka, non può più essere che questo cercare la verità, raccogliendosi nel silenzio. E certe volte può spaventare, tirarsi in disparte, raccogliersi sotto la coperta e avere un momento soltanto per sé. Da piccoli ci si raccoglieva in un angolo, ed è lì che tutto succedeva. Poi si cresce e lo si fa sempre di meno, o si smette, e ci si rende conto di aver perso qualcosa. E ci vuole coraggio, a provare a star soli, perché magari non si teme più il buio, da grandi, ma è tutto il resto che comincia a fare paura.

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